25 anni senza Domenico Modugno, l’arcitaliano curioso

Il 6 agosto 1994 finiva una storia lunghissima, iniziata con un ragazzo intraprendente del sud che scappa al nord in cerca di fortuna di nascosto dal padre. E che la troverà, eccome

E certo in questa occasione parlare ancora di incanto sarebbe comodo, insomma indugiare sulla solita faccenda del Modugno straordinario che in quel Sanremo del 1958 cantando “Nel blu dipinto di blu” e spalancando le braccia di fronte a un pubblico che gli varrà 800.000 copie vendute a fine anno solo in Italia (e 22 milioni, ripeto, 22 milioni nella totalità delle vendite sul pianeta), incantò, appunto, la nazione: oh, come la incantò! Tuttavia sarebbe anche davvero ingeneroso cucire a un artista di questo calibro e di questa prodigiosa ancorché inedita multiformità la sola giacca – naturalmente celeste – della magia e della malìa. Quello che è stato Domenico Modugno in grande parte sembra sfugga ancora oggi alla sua vulgata, a una narrazione immobile che lo racconta cantantone fimminaru in generico accento del sud tra una canzone che parla di pesci, una tarantella fake in aria napoletaneggiante e una bella ballatona d’amor svenevole in forma di serenata o da prestare durante la parentesi musicale più intima di un matrimonio di sette ore con quattrocento invitati.

Modugno però, è evidente, non fu solo l’incantatore, l’anima del popolo che aspettava qualcuno che dopo romanze, romanzine e romanzette ancora in odor di melodramma lo facesse cantare a squarciagola, libero nell’abbraccio al mondo, usando la lingua di uso corrente, ma fu il primo grande lavoratore della canzone, il primo cantautore inteso come la modernità della canzone italiana intenderà questa figura: figura del fare canzone, cioè artigiana, ma pure ancora in grado di conservare l’afflato lirico, quell’indicibile che deve aleggiare sulla poesia, insomma quella morbida di culla del riconoscibile sovrannaturale lirico, dell’ispirazione, della potente rivelazione dell’emozione che incontra la ragione e si fa parola: testo musicabile, musica narrabile. A questo piano fa riferimento lui stesso quando, parlando della crisi delle vendite di metà anni ’60 si confiderà esplicitamente vittima di un blocco dello scrittore, con l’implicito d’essere dunque scrittore di canzoni: “per la prima volta non riuscivo più a comporre, a scrivere”.