Ecco gli Wow, che fanno a pezzi il cantautorato italiano

Ascoltate “Millanta tamanta”, ultimo lavoro della band romana. C’è Morricone con Milva e Jacques Brel più sprazzi di Gainsbourg ma senza ritornelli facili.

18.05.2016

Foto di Francesco Viscuso

Quello degli WOW (da pronunciare UOU costi quel che costi), è un percorso che si riequilibra continuamente su sé stesso, il prodotto di una sorta di mediazione perpetua tra obiettivi e raffinatezza da una parte e radici e punk dall’altra. Che spirito artistico DIY e una storia che raccoglie l’animo post punk, le radici garage e grandi passi mossi all’estero con canzoni cantate in inglese in giro per l’Europa possano essere il contraltare perfetto a esaltare una natura italiana antica, originariamente cantautorale e beat made in Italy, è quello che ci dimostra questa band di base romana sin dal primo albumAmoreMillanta tamanta esce in queste ore per 42records ed è un nuovo passo naturalmente più maturo verso un recupero della canzone molto distante da quello che il panorama italiano ci ha, volenti o nolenti, abituati ad ascoltare su larga scala.

Mentre si sprecano omaggi ai cantautori in gran parte già invecchiati più degli originali di cinquant’anni fa, i riferimenti degli WOW si originano da un orecchio di riguardo ben più felice per una trasversalità italiana in gran parte sepolta, quella, ad esempio, contenuta nelle segrete delle incredibili e ormai semisconosciute compilation di beat italiano curate ed edite dalla Vedette records.
Non è difficile riconoscere un sound che richiama cavalcate morriconiane, batteria e chitarra che si parlano come in certe vecchie non-hit italiane che chiudono i 60s e si buttano nei 70s. Esattamente come accadeva in quelle hit mancate, trasversali al panorama dei jukebox e delle classifiche, gli WOW giocano con una stratificazione sonora più curata che scappa dai ritornelli facilissimi cercando di suggerirci combinazioni nuove anche loro, confinanti con la tradizione ma anche innovatrici nel gioco della parola, proprio come Gianni Rodari, autore dell’espressione favolistica «millanta tamanta» che gli WOW hanno raccolto da una delle sue Favole al telefono, ci ha insegnato molti anni fa.

Favolistico e avventuroso è anche il modo in cui la band ricompone una rosa vastissima di rifermenti culturali italiani piegandoli alle storie contemporanee, vicende semplicissime, a volte intime, a volte in forma di microracconto che al centro hanno sempre e solo un tema: l’amore, come da tradizione.
Ci sembra di ascoltare Nevil Cameron che canta Se te ne vai mentre ci appare nella nebbia bianca delle chitarre tirate una giovane Milva lo-fi, sporcata di fango sul viso bianco, che racconta cosa significa lo spietato gioco degli sguardi e dei pensieri d’amore nei locali notturni dell’Italia del 2016 e non del 1972. Facile ritrovare Gainsbourg in Le Pointeur de Floury mentre da qualche altro angolo della canzone (e dell’album) salta fuori Neil Hannon con i suoi Divine Comedy e con lui tutto quel lungo strascico di pop, languore e maledettismo di violini influenzato da Walker Brothers, Scott Walker e Jacques Brel.

Dopo i Jennifer Gentle, gli WOW sembrano i primi in Italia a rincorrere con profondità un sound da Back on sunday, concedendosi alla lingua italiana in un passo che è, a tutti gli effetti, un modo specifico e accurato di osare e divertirsi con la storia. Se cantautorato è dunque un insieme di azioni sincroniche che l’autore anima tra parole e musica, qua il cantautorato è fatto a pezzi, dissezionato, mentre la canzone si ricompone in un nuovo Frankenstein ricoperto di fiori di tutti i colori.