Una mostra e un libro tornano su Superstudio, il collettivo fiorentino attivo tra 1966 e 1978. Visioni e utopie (e fotomontaggi) del più importante gruppo dell’architettura radicale italiana.
Quando ho scoperto Superstudio era notte. All’epoca stavo davanti al computer un numero indefinito di ore e alla notte relegavo infinite sessioni di pura navigazione, trovando finalmente un senso a questo verbo, navigare, perdendomi negli antri nascosti della rete rinvigorendo il senso di noiosa reiterazione di aggiornamento delle pagine, o, ben più raramente, scoprendo cose molto interessanti.
Quella notte ho visto questi assurdi collage pieni di tavole e piani e sfondi quadrettati all’apparenza infiniti, ho visto donne bellissime accovacciate a suonare il flauto all’interno di divani in peluche rosa confetto, sedute che di profilo avevano la forma di orecchie umane ma che non si sottraevano a un’interpretazione sessuale, calda, e legata alla riproduzione, in grado di riconnetterle all’idea della vagina e dell’utero della vita.
Ho visto gruppi di hippie sdraiati sul piano levigato e senza fine di un suolo terrestre sospeso nello spazio, li ho visti bere vino, accarezzarsi, sorridere. Ho intravisto bambine, famiglie, aspirapolveri e assi da stiro collocati al centro di un prato perso nel nulla, decontestualizzato, il verde di quella che avrei scoperto chiamarsi supersuperficie.
Non avevo idea di cosa fossero quelle immagini: immersa nelle leggi della Repubblica di Tumblr, perdevo la testa per loro e mi sentivo progressivamente sempre più attratta da queste geometrie quadrettate che si scontravano con queste figure umane provenienti dal tempo della Contestazione, del Movimento Studentesco e ancora di Woodstock, della liberazione sessuale, di forme di vitalità già portatrici naturali di un’ombra sul colore e sul bianco e nero, l’ombra degli anni Sessanta che sfociano nei Settanta.
Solo dopo molti viaggi nel cyberspazio del mio computer mi sono dedicata a ricostruire la provenienza di questi fotomontaggi, fino a scoprire cosa fosse Superstudio.
La legge del flusso di immagini che si presentano nei trip web del nostro tempo è una legge fatta di click ravvicinati oltre la percezione e di naturali propensioni ad approfondimenti vaghi, a ossessioni che durano (stando larghi) qualche mese, a forme di invaghimento quasi erotico nei confronti dell’icona, dell’immagine scorsa nello scorrimento veloce delle dita sul touchpad, nel bombardamento multidisciplinare presente nei contenuti coi quali ci scontriamo quasi sempre senza volerlo.
Le immagini di Superstudio, collocate in questo flusso di citazioni di Carver, gif animate di gatti con code arcobaleno, unicorni spaziali, copertine di vecchi libri Penguin, mi sembravano contenere un’immediatamente riconoscibile concezione futuristica del marxismo, grazie a quelle donne e quegli uomini che, a gruppi, a coppie e più raramente da soli, prendevano possesso di queste superfici infinite, ridisegnando il mondo delle possibilità, quello dei quadretti, esattamente lo stesso dei quaderni della scuola, un mondo che è geometria, raziocino ma pure, in potenza, spazio aperto e da riempire: fantasia.
Non mi è parso dunque strano, alcuni anni dopo, leggere queste parole di Cristiano Toraldo di Francia, insieme ad Adolfo Natalini originario fondatore di Superstudio nella Firenze del 1966: “restituire creatività agli utenti, a tutti quelli a cui l’avevamo tolta, compiere una specie di harakiri formale: era un po’ come il quaderno a quadretti sul quale ognuno scarabocchia, colora, scrive e fa quello che vuole”.
Sviluppatosi a Firenze nel clima delle neoavanguardie e delle lotte studentesche, Superstudio nasce in parallelo con altri collettivi di “architettura radicale” quali Zigguarat, Archizoom e 9999, configurandosi come quello che lo stesso fondatore Adolfo Natalini definirà come un gruppo dall’anima bipolare.
I poli in realtà sono molti più di due se consideriamo anzitutto le provenienze dei suoi fondatori e partecipanti. Adolfo Natalini appartiene alla Scuola di Pistoia, è un pittore di talento che approda all’architettura, le sue opere considerate “acide e fredde” si prendono il giusto spazio all’interno della pop art italiana, quella che, nella Scuola di piazza del Popolo, fioriva con Tanto Festa, Franco Angeli e Mario Schifano.
Cristiano Toraldo di Francia, nipote di uno tra i primi macchiaioli, è anche lui pittore, ma solo per diletto, la sua vera passione è la fotografia, coltivata fin da giovanissimo. Figlio di uno scienziato progettista di ottiche per macchine fotografiche, nel suo salotto di Bellosguardo, in una casa appartenuta secoli prima a Elizabeth Barrett Browning, grazie a incontri organizzati proprio dal padre, si abitua a frequentare e vedere interagire e incontrarsi “le due culture”; conosce giovanissimo, tra gli altri, un ugualmente giovane Massimo Cacciari e un illuminato Luciano Berio.
Se la fotografia di Cristiano Toraldo di Francia, più che dall’ultima tradizione fotografica fiorentina, è influenzata dal cinema, dalle inquadrature e dai tagli assolutamente poco ortodossi dell’immagine operati da Resnais e Ejzenstein, ugualmente Adolfo Natalini include nella sua opera l’amore per la letteratura, in particolare per Carlo Emilio Gadda, Federico Garcia Lorca e Cesare Pavese.
Pavese diventerà una costante ispirazione per l’apparato narrativo di Superstudio che, oltre ai propri progetti e lavori di design e di immagine, tende ad associare, proprio seguendo l’esigenza di fornire costantemente una riflessione filosofica più ampia e all’epoca non prescindibile, una parola che conservi il tono dell’oralità, la stessa oralità di suoni e metriche care proprio a Pavese.
Anche Gian Piero Frassinelli, terzo membro essenziale di Superstudio, che entra nel gruppo dopo un anno, coltiva una passione altra rispetto all’architettura: è un lettore e studioso di antropologia, si compra i primi libri con le prime paghette e poi si nutre di Lévi-Strauss e Mauss, scopre la disciplina anche attraverso i documentari del Festival dei Popoli di Firenze e coltiva in parallelo architettura e antropologia, non lasciandosi sfuggire la connessione strettissima tra le due scienze e impostando il proprio sapere come uno scambio biunivoco tra questi due mondi.
A generare un primo shining su quello che poi sarà parte della concezione architettonica di Superstudio, è l’alluvione di Firenze del 1966. Cristiano Toraldo di Francia spiega così la trasformazione della città, durante quei giorni drammatici che stabiliscono un vero salto indietro nel tempo, in scenari di guerra in cui persino procurarsi cibo e oggetti di prima necessità risulta difficilissimo: “L’alluvione voleva anche dire fine della razionalità: l’irrazionale era entrato all’interno di questa città rigorosa, geometrica, perfetta e l’aveva completamente sconvolta, sostituendo ai marmi e alle pietre un pavimento liquido, in cui i monumenti galleggiavano, isolati”.
Non è difficile intravedere in questa visione l’albore di quello che diventerà il più noto e impressionante tra i progetti di Superstudio, il Monumento Continuo, alla cui base sta una concezione di architettura strettamente connessa alla terra tutta, un’architettura destinata a eliminare se stessa in quanto tale per essere sostituita da un sé che è un oggetto unico, potenzialmente infinito, denso di possibilità inesauribili.
Il monumento continuo nasce come la sovrapposizione bipolare tra tecnologia e simbologia, affrancandosi da un’idea di architettura che ripone la propria fiducia totale nella rappresentazione del monumento oppure nella tecnologia.
Lo conferma proprio Natalini, conversando con Gabriele Mastigli nel suo libro, preziosissimo, appena uscito per Quodlibet, La vita segreta del monumento continuo; il lavoro del gruppo si alimenta tanto di quella mulitidiscpilinarietà originaria quanto di questi continui contrasti: tecnologia e monumentalismo, ma anche razionalità e irrazionalità, laddove in quella ragione geometricamente rappresentata dal quadretto, si inscrive l’elemento surrealista, lo stesso di Rem Koolhaas e di tanta neoavanguardia, un surrealismo che gioca con lo spaesamento, con il cambiamento di scala e, nel caso di Superstudio, con la tecnica del fotomontaggio.
Il fotomontaggio consiste nell’unione di paesaggi di partenza – la Mecca, i deserti, i canyon, Coketown, tutto fotografato da libri e poi ristampato – e fotografie prese da riviste come LIFE, Time o Epoca. La dimensione del contrasto tra ragione/geometria e sentimento/surrealismo, si amplifica se pensiamo al contesto in cui questa forma di architettura – non a caso definita “radicale” – prende forma. Da una parte la tensione scientifica, un rigore e una formalizzazione classica del monumento, dall’altra la totale trasformazione di esso, la compenetrazione con la realtà umana del tempo: operai che lasciano la fabbrica, famiglie borghesi ormai adagiate su divani e intente a destreggiarsi tra frigoriferi e l’ormai acquisita forma di consumismo assoluto post-Boom, ragazze bellissime distese tra morbide pareti rosa in quello che si presenta, come in molti casi, come un oggetto di design reale e realizzato…
Questa doppiezza ha ancora più forza in un altro straordinario lavoro del gruppo: gli Atti Fondamentali. Litografie che rappresentano, quasi dividendo in atti teatrali l’esistenza: Vita, Educazione, Cerimonia, Amore e Morte.
L’Amore, ad esempio, viene rappresentato attraverso le immagini di coppie bellissime, nude, su un prato sotto un albero come Adamo ed Eva o su una spiaggia, come prefigurandosi un’immagine pop e quasi baglioniana dell’amore. I corpi, però, sono messi in movimento da una macchina, la macchina innamoratrice, quasi a essere definiti, con il loro calore, come la rappresentazione monumentale dell’atto dell’Amore mentre la macchina ne è il motore tecnologizzato.
Se alcuni degli oggetti di design originariamente progettati da Superstudio si sono trasformati da progetto in oggetti fisici grazie all’appoggio e alla volontà di Poltronova (tra i molti sostenitori nazionali e internazionali del gruppo), molti collage, secondo Natalini, sono stati riutilizzati e alcuni di essi sono stati trasformati, appunto, in litografie. Alcune di esse, realizzate in occasione della mostra Sottsass e Superstudio che nel 1973 girò in sette musei degli Stati Uniti, rimasero invendute e, una volta cedute a un amico di Natalini, compagno della comune in cui nel frattempo viveva, Cascina, finirono come ornamento da sala in ristoranti e bar della costa toscana dove forse, con un po’ di fortuna, potrebbero trovarsi ancora oggi.
In una prospettiva ancora più ampia, la vita dell’uomo che incontra una nuova concezione radicale di architettura, non riguarda solo la presenza umana sulla terra ma pure la conquista della Luna. Prendendo le distanze da una concezione strettamente politica per cui l’allunaggio rappresenta la conquista di un territorio altro, ancora vergine e lontano da logiche capitalistiche di merci e sistema, Cristiano Toraldo di Francia, Natalini e il gruppo, definiscono i tratti di un’architettura interplanetaria, cioè d’aiuto all’astronauta sulla Luna: un’architettura di protezione che include navicelle e vestiti speciali.
La storia di Superstudio, in definitiva, ci dice lo stesso Cristiano Toraldo di Francia, è una storia di liquefazione e stravolgimento dell’idea di cucina dove cucinare/mangiare e letto dove dormire, una concezione ancora anni cinquanta (ma protratta nei sessanta) legata ai precisi e rigidi connotati di ogni livello architettonico. Era proprio di questa liquefazione che aveva forse parlato la natura, ai tempi dell’alluvione del ’66.
Infine non va tralasciato l’elemento utopistico di Superstudio, poco codificato dai suoi fondatori, ma così percepibile tanto da una contestualizzazione accurata, quanto dallo studio della filosofia del gruppo e dal semplice primo incontro con queste opere in una notte in cui cucina e camera da letto hanno, ben oltre il 2000, ormai stravolto le loro funzioni senza possibilità di recupero, e in cui unicorni Tumblr si mescolano facilmente all’ippogrifo citato dallo stesso Cristiano Toraldo di Francia in uno dei suoi primi progetti giovanili: quell’ippogrifo, grande e strano augello, che ne L’Orlando furioso porterà Astolfo sulla Luna, forse coperto da una struttura architettonica interplanetaria alla volta del proprio senno, senza perdere mai gli umani sogni e surrealismi.
Il libro “Superstudio – La vita segreta del Monumento Continuo” è pubblicato da Quodlibet.