Ci sono voluti sette anni prima che riuscisse a finire il suo secondo disco. Perché dentro c’è una storia troppo difficile e dolorosa da raccontare: la fine dell’amore (e del matrimonio) con Jack White
Non servono molti ascolti di Double Roses, il nuovo disco di Karen Elson, per rendersi conto in modo davvero trasparente e immediato di essere davanti a qualcosa di raro, a una scrittura dalla profondità non consueta, a un’autorialità molto chiara, definita, matura, figlia di travagli e di sofferenze, ma filtrata e messa a fuoco con lucidità. Se Double Roses suona come un’auto-psicanalisi incisa da Karen Elson sui suoi stessi problemi, parlare con lei non poteva che risultare una seduta sulla seduta stessa, una sorta di supervisione – come si chiamano in termine tecnico queste pratiche – che ha deciso di condividere a cuore aperto in un pomeriggio di fine inverno.
Hai lavorato a questo disco per sette anni, non ti chiedo perché ci hai messo tanto, ma come hai vissuto questo periodo, visto che nel tuo disco è presente in una grana molto profonda?
Una domanda perfetta da fare subito. L’ho fatto, semplicemente, e ci sono moltissime ragioni; anzitutto ho avuto due figli. Quando ho pubblicato il mio primo disco non andavano ancora a scuola ed era più facile lavorare e viaggiare insieme portandoli con me. Quando hanno iniziato la scuola è stato più difficile lasciare la città per lunghi periodi, forse tornerà a essere più semplice quando frequenteranno le superiori. Inoltre, avendo un padre come Jack (White, ndr), che deve viaggiare molto anche lui, c’è sempre il problema di chi debba restare con loro. Di fatto siamo due genitori che viaggiano costantemente e potrebbe essere difficile per loro, anche emotivamente. A un certo punto ho deciso di restare a casa, di prendermi il mio tempo e, occasionalmente, andare a fare servizi fotografici da modella per due o tre giorni, al massimo una settimana. Prima stavo via anche venti giorni, ma per una madre certi ritmi sono veramente molto difficili da sostenere. Ho pensato che, nel caso della musica, questo timing sarebbe inevitabile, perché fare un disco impone un tour, lunghi periodi di promozione lontana da casa, mentre io ho bisogno di prendermi questo tempo con i figli. Anche se ho realizzato che la cosa che preferisco in assoluto è fare musica, lì l’assenza è maggiore rispetto a quella necessaria per fare il lavoro di modella.