Moby: «Voglio solo divertirmi»

Per lui sistemi “antichi” come il matrimonio sono falliti. Per questo ci ha fatto un disco. E, come sempre, non gli frega se venderà oppure no

Richard Melville Hall a.k.a. Moby è nato a New York nel 1965. È pronipote dello scrittore Herman Melville.

In un periodo come questo, sono pochissime le persone che acquistano dischi e la maggior parte dei musicisti ritiene questa cosa davvero deprimente. Io invece la trovo liberatoria. Come artista io oggi posso fare uscire un album e non curarmi minimamente di come andrà: semplicemente perché non andrà affatto!».
Con queste parole Moby, star planetaria di quella musica che riduttivamente etichettiamo come elettronica, ma che, nel suo caso, contiene viaggi interstellari tra ambient, techno e inserti di pop strumentale, mi introduce in una chiamata Los Angeles–Milano la ragione prima del suo nuovo lavoro in studio: spassarsela e godere fino alla fine della magica esperienza di ogni istante del processo creativo. «Molti musicisti, devo dire soprattutto quelli di mezza età, mi sembrano preoccupati dal pensiero di mantenere una fanbase, dalla possibilità di andare in tour e di sembrare artisticamente più giovani; io, ti devo confessare, non sono minimamente interessato a tutto questo e, quando faccio un disco, ora, voglio solo divertirmi ed essere felice nel farlo, essere gratificato dal momento in cui scrivo i pezzi a quando, alla fine di tutto, li riascolto».
These Systems Are Failing, uscito a metà ottobre per la sua Little Idiot Records a nome Moby & The Void Pacific Choir, sembra un ritorno fanciullesco e istintivo agli amori di gioventù, tutto intriso com’è di suoni post punk e new wave.