Anzitutto chiariamo una cosa: pendolare non è chi prende spesso “un treno”, ma chi effettivamente, come un pendolo, compie un movimento avanti e indietro da una città a un’altra, da un paese a una città, da un paese a un altro paese nell’arco di un tempo davvero ristretto (almeno il 50% dei giorni di ogni settimana). Negli anni sono entrata in contatto con diverse realtà legate a questo fenomeno che per me, che sono nata e vivo nella provincia lombarda più vicina a Milano, ha sempre avuto la forma di uno spostamento quotidiano e temporaneo verso il capoluogo della mia regione, per ragioni perlopiù lavorative. Io, dal canto mio, da ormai due anni faccio ufficialmente parte di questo nutrito gruppo di persone che dal lunedì al venerdì (con alcune eccezioni quando salto un giro dormendo dove sono arrivata), si prodiga nel magico avanti e indietro.
Percorro una tratta precisa con una costanza e un’abitudine che non sono mai riuscita ad applicare a nessun altro aspetto della mia esistenza, e ogni giorno mi chiedo quanti biglietti avrei raccolto se da quel primo treno con ritorno in giornata – preso un sabato di primavera del 2003 – avessi collezionato tracce di ogni tratta percorsa e ripercorsa.Ho scelto otto parole chiave per descrivere il loop fisico e mentale a cui conduce la vita da pendolare.
In molti hanno raccontato cosa significa viaggiare in treno; ogni giorno, vengono raccolti tweet e fotografie che rispondono a un hashtag ideale o reale dedicato: #travellingconditions. Ma come si possono raccontare invece alcuni tra i significati profondi, le dinamiche consuete dell’umano soggetto in una situazione di viaggio reiterato? Come descrivere il loop fisico e mentale a cui questa vita conduce, se intrapresa a tempo indeterminato? Io ho scelto alcune parole chiave, otto in tutto. Eccole:
Noi
La prima cosa che il pendolare si trova ad affrontare una volta entrato definitivamente nel grande trip dei viaggi infiniti, è un rapporto molto stretto con se stesso. Sul treno, da solo, nella relazione con il proprio corpo e con il proprio pensiero, finisce con il ritrovarsi a contatto con molto di ciò che nella giornata non ha altrimenti spazio di esistere: una prolungata e difficilmente evitabile riflessione. Inoltre il pendolare, non utilizzando il treno per (soli) scopi di piacere, conosce il peso preciso delle ore o dei minuti che lo separano dall’arrivo. Il tempo che precede o segue il raggiungimento della meta – l’arrivo in ufficio, ad esempio – è un tempo di sonno e tensione all’andata e un tempo di decompressione e stanchezza fisica al ritorno. In questi spazi il pendolare medita su come dovrà muoversi nelle ore che verranno o su come avrebbe dovuto fare per evitare ciò che non ha evitato nelle ore immediatamente precedenti, e lo fa in modo perlopiù ossessivo. Alcune volte, dopo tanti viaggi e inconsapevoli esercizi, il pendolare riesce però a non pensare, ad astrarsi completamente, a sollevarsi, vagare, dimenticare l’attesa, dimenticare chi o cosa lo sta aspettando. Dimenticare se stesso.
Altri
L’inferno sono gli altri e l’inferno è tutto. Il pendolare sa bene cosa non potrà mai eliminare dal proprio eterno fluire avanti e indietro, e sa che l’ineliminabile è costituito soprattutto da corpi altri, da altre umanità, da altre voci, altri ritardi, altri cosmetici spalmati sul viso mentre il treno va, da altri weekend che il lunedì mattina si conficcano violenti nei ricordi leggeri del suo, già ampiamente risucchiato dalla voce metallica che annuncia le fermate a venire. Gli altri ci saranno sempre ed evitarli sarà il gioco più divertente e sfiancante: quando si hanno due borse tentare di fare in modo che altri non decidano di sedersi proprio lì, scommettere tra sé e sé che il posto prescelto sarà quello più fortunato perché, nel raggio di almeno cinque file di sedili, nessuno telefonerà all’amica parlando con tensione estrema del fidanzato e nessun avvocato chiamerà “il collega”. Il pendolare, soprattutto, fugge dalle madri perché le madri sono senza dubbio e senza cinismo uno dei problemi più difficili da sradicare: la madre che discute della crema pasticcera sulla torta della festa del figlio, la madre che chiama l’asilo per dire che Riccardo ha la febbre e oggi rimarrà a casa, la madre che descrive accuratamente quante volte la propria figlia di appena tre mesi abbia già compiuto gesti geniali. Madri che non tacciono persino agli orari più improbabili sono il fischio eterno del vapore di treni moderni e veloci, il suono della realtà che non si arresta fuori dai finestrini.
Foto di Mark Kolbe/Getty Images
Tempo
Solo un novello pendolare potrà considerare il tempo come un nemico: l’esperto saprà quanto sia necessario invece, da subito, farselo amico. Anzi: migliore amico. Se sei un pendolare il tempo governerà la tua vita solo se tu gli permetterai di farlo: e questo, naturalmente, non deve accadere. Un piano preciso per il raggiungimento di ogni tappa (minuti casa-stazione, ma pure ufficio-stazione e poi stazione-qualsiasi altro luogo) viene costruito nel dettaglio agli albori di ogni nuovo percorso pendolare e viene poi perfezionato lentamente e accuratamente al progressivo crescere dell’esperienza. Un delirante gioco di timing strutturati su diverse mappe del percorso, su possibilità differenti di raggiungere i medesimi obiettivi si mostra essenziale alla conduzione di una vita, non dico tenera, ma almeno umana, ogni giorno. Il pendolare sa che il tempo sarà padrone solo se lui si permetterà di sprecarlo, di lasciarlo andare subendo passivamente il fatto stesso di doverlo utilizzare ogni giorno per spostarsi. Fondamentale, quindi, è che il tempo di viaggio si volga in opportunità, possibilità di pensiero ma pure di scoperta, di relax, di creatività. Con un po’ di cura, anche quel tempo che pensavamo sprecato o persino inesistente potrà diventare importante e ricco.
Corpo
Il corpo subisce il pendolarismo ma ne sceglie anche la struttura, detta le leggi, ci chiede di scegliere un percorso e non un altro, di ottimizzare al meglio tutte le forme di fatica che si accompagnano alla ripetitività dei viaggi. Il pendolare sa che l’autobus che porta da casa alla stazione e che include un’attesa al freddo la mattina, può risultare più spossante di una passeggiata. Il pendolare sa che la metropolitana è sempre peggio del tram per via dei su e giù e degli sbalzi di temperatura. Il corpo del pendolare è arrivato a comprendere come accorgimenti quotidiani minimi, se ripetuti ogni giorno, facciano decisamente la differenza. Vestirsi a strati per non avere troppo caldo quando il riscaldamento del treno sarà eccessivo, vestirsi abbastanza da non rischiare il gelo quando il riscaldamento non funzionerà e un’ultima cosa, in realtà di primaria importanza: trovare un posto dove sedersi.Se sei un pendolare il tempo governerà la tua vita solo se tu gli permetterai di farlo: e questo, naturalmente, non deve accadere.
Libri
Pendolarismo significa tempo obbligato ma, nella maggior parte dei casi, anche tempo libero. Se ogni giorno il pendolare percorre 80km tra andata e ritorno, avrà all’incirca un’ora e mezza di tempo da impiegare come vuole purché alcune delle piccole leggi elencate nei punti precedenti siano state rispettate. Il pendolare scoprirà dunque molto presto la possibilità di impiegare molto di quel tempo leggendo, e che paradossalmente queste ore gli saranno di grande aiuto per mantenersi sempre allenato con romanzi e saggi, cosa che sarebbe molto più complicata se dopo una giornata di lavoro si fosse ritrovato immediatamente a casa, senza questo spazio di niente in cui restare sveglio. Sul treno si può leggere di tutto, certo: ma ho imparato che i romanzi con molti personaggi sono più complicati da seguire tra una frenata e un annuncio; al contrario, non fiction, biografie e lavori molto teorici possono tenere più legati al libro e superare i numerosi ostacoli sonori.
Musica
Ancora più compagna dei libri è la musica, ma attenzione: se il pendolare che vuole ascoltare un disco appena uscito incontra un pendolare amico che ha voglia di chiacchierare…è la fine. Ancora più del libro, la musica viene trattata da molti come un banale plus anti-noia: nessuno insomma considererà che quei minuti di viaggio erano stati programmati da giorni come il momento giusto per quel dato disco e la maggior parte delle persone, anche amiche, vi costringerà a tenere la cuffie abbassate e rimandare l’ascolto. Ecco un classico esempio di situazione che danneggia moltissimo l’umore del pendolare. In termini ridotti questa stessa dinamica può riprodursi quando in un giorno di sole o di pioggia, varcando la soglia del vagone, il pendolare decide che si siederà e mentre il treno attraverserà romanticamente le campagne, potrà godersi quel grande classico X che invece non si godrà mai perché qualcuno starà parlandogli e facendogli domande ovviamente poco interessanti.
Foto di Chris Brown/WikiCommons
Smartphone
Onnipresente in ogni forma, ma soprattutto portatore non sano di giochini social come Candy Crush. Il pendolare ancora alle prime armi potrebbe rimanere spiazzato dalla quantità di persone che sceglieranno di spaccare bollicine con altre bollicine o mettere in fila caramelle: una dedizione assoluta che supera notevolmente, in scala, la lettura o l’ascolto della musica, dei podcast o della radio. Un fenomeno che va dalla banchina d’attesa al sedile del treno. Smartphone però significa anche altro: scelta en plein air di suonerie a volume senza ritegno, e telefonate sguaiate che durano tutto il tempo di percorrenza – assai rare la mattina, molto consuete a fine giornata, quando il fiume di lamentele esistenziali e lavorative sarà cresciuto esponenzialmente. Smartphone: amico, decompressore di pensieri, giochino, ma anche grande elemento di disturbo sociale.
Stazioni
Non lo si pensa mai all’inizio ma la stazione, per il pendolare, è una seconda casa. Seconda casa significa conoscenza perfetta di tutte le peculiarità di ogni spazio, conoscenza esatta dei tempi: da quelli impiegati in media per fare un biglietto in ognuno dei giorni della settimana a quelli di attesa in edicola. Casa vuol dire odori, vuol dire sapere quanto in una stanza fa più o meno freddo e caldo a seconda delle stagioni. Il pendolare sa dove è meglio aspettare e sa quale voce preregistrata preferirà ascoltare nel momento del massimo sconforto – che solitamente ha la forma di un annuncio surreale, da Flatlandia, che dice qualcosa tipo “440 minuti di ritardo”. Piccole cose che hanno il peso di distributori automatici di succhi di frutta, di biglietterie automatiche funzionanti.